francis15
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Il libro che ho letto si intitola “Lettera a un adolescente” ed è di Vittorino Andreoli, famoso psichiatra che vive e lavora tra giovani particolarmente problematici. Il libro, infatti, scritto in prima persona, testimonia la sua esperienza a contatto con gli adolescenti. Scrive questo libro, sotto forma di lettera, i cui destinatari sono tutti i giovani, e lui in veste di un “padre” o di un “nonno”, vorrebbe comunicarci ciò in cui lui stesso crede, tenendo conto che non considera una verità assoluta ciò che scrive, e non pretende che sia considerata tale dai giovani lettori.
Semplicemente ritiene fondamentale un dialogo, vissuto come un passaggio di informazioni ed emozioni, acquisite grazie alla sua esperienza.
Infatti ritiene fondamentale, soprattutto nel corso dell’adolescenza, il dialogo, vissuto da genitori e da figli, come uno scambio reciproco di ragionamenti, che diventano autentici se si comprendono le motivazioni che ci portano a esprimerli e i legami che si vorrebbero attivare mentre parliamo. Sono dunque i sentimenti a guidare e a condizionare il procedere della ragione. Ritiene invece che nel mutismo prendono il sopravvento rancori, odi e incomprensioni. Il dialogo, inoltre, è una modalità per cercare dentro di sé una soluzione a un problema, sufficientemente valida.
Egli afferma che, se potesse ridurre l’adolescenza in una sola parola, sarebbe “metamorfosi”, ovvero un cambiamento, in cui si richiede di vedere noi stessi e il mondo che ci circonda in un nuovo modo, come se stessimo guardando il tutto per la prima volta. Nonostante questa metamorfosi comune a tutti i giovani, fra una generazione e l’altra, quindi fra un padre e un figlio, le modalità in cui si attraversa tale cambiamento sono differenti, ma ciò che è fondamentale, sempre facendo riferimento al dialogo, è che ognuno esprima liberamente ciò che pensa, senza giungere a imposizioni che spacchino i legami d’amore e di stima, tenendo, però, sempre presente che la vita intera è una metamorfosi, e che l’esistenza è un continuo adattamento all’ambiente sociale in cui è calata, ovviamente accentuato in alcune fasi. È bene puntualizzare, inoltre, che oggi l’adolescenza si è fatta più lunga, fino a parlare di adolescenze ritardate e, in alcuni casi, persino interminabili.
Per una corretta metamorfosi, ovvero senza che l’adolescenza segni negativamente il nostro avvenire, ma al contrario lo valorizzi, facendo uso degli insegnamenti acquisiti durante un periodo così delicato, è importante l’educazione che ognuno sperimenta durante tale età. Andreoli sostiene che educare significhi tirare fuori, e non imporre, e che la relazione educativa è una relazione a due, dove chi educa e chi è educato non sono distinguibili, e addirittura si possono cambiare i termini, ma non i ruoli, che devono restare invece ben differenziati, ritenendo inoltre che ognuno di noi è il risultato anche delle persone con cui vive e in particolare di quelle con cui ha una relazione significativa. Questa relazione infatti deve agevolare l’idea che l’educazione non sia un ricevere passivo, bensì l’educando aiuti il proprio educatore, per far sì che egli educhi nel modo migliore.
Riguardo questo contesto è importante fare una puntualizzazione, che condivido pienamente: tutti sono genitori, ma non tutti padri. Dunque tra essere figlio ed essere sempre semplicemente generato c’è una bella differenza, come nel caso dell’adozione, in cui si diventa padre senza generare. Perciò nei rapporti tra padri e figli, è importante stabilire se ci siano rapporti di sangue, ma soprattutto rapporti d’amore, per capire quando si è padri e quando si è semplicemente genitori.
Bisogna tenere conto che se i padri pensano di avere la possibilità di impedire uno dei comportamenti a rischio dei figli o di condizionarlo, non solo lo fanno, ma pensano in caso contrario di mancare a un dovere. Infatti si può benissimo evidenziare le differenti percezioni del rischio, legato poi alla nascita di paure. Da alcuni divieti, nati da tali paure dei padri, l’adolescente contrariato può ricorrere a tre tipi di disobbedienza: la trasgressione, percepita dall’autore come l’illusione di sentirsi liberi, senza esserlo; l’opposizione, prediletta da chi ha una carenza di personalità; e la rivolta, che, se vissuta nelle modalità più consone, pone anche la possibilità che una generazione vinca le resistenze e gli errori delle precedenti. Queste distinzioni fra le disobbedienze possono far capire come la giustizia sociale e la percezione della dignità sia percepita da ognuno in maniera differente.
Da queste distinzioni, può nascere il dolore e il bisogno di capire il dolore, stabilendo poi che chi ci ha provocato dolore è difficile da perdonare; infatti Andreoli ritiene tale azione, disumana, intesa come la capacità di dimenticare chi ha fatto del male, soprattutto se si è trattato di qualche cosa di irreparabile. Ma il perdono può essere rivalutato, attraverso l’amore, senza il quale tale azione diventerebbe ingiusta e incomprensibile.
Stabilite queste basi, possiamo considerare che ci siano due fasi differenti nell’adolescenza, sempre distinte da una metamorfosi unica: la prima, che coincide pressappoco con la scuola dell’obbligo, in cui il corpo muta e si sente il bisogno di far parte di un gruppo di coetanei, con cui condividere valori e passioni; la seconda, invece, è caratterizzata dall’attaccamento a una ragazza o a un ragazzo per un’esperienza unica, di legame forte e di amore.
Nella prima adolescenza, in particolar modo, muta il nostro corpo, e bisogna cominciare a percepire la sessualità non soltanto rimandandola alle caratteristiche anatomiche, ma alla sensibilità d’animo, all’educazione e a un modo di comportarsi. Sempre riferendosi al cambiamento esterno c’è un’altra dimensione da valutare, quella dell’estetica, non riducibile solo al corpo, ma anche all’atteggiamento e ai movimenti. Spesso l’adolescente non è soddisfatto della propria estetica, perciò cerca di correggerla o nasconderla con l’utilizzo di piercing o con l’impiego di tatuaggi, utilizzati come marchi eterni. Ma il giovane può anche affrontare una sorta di depressione o paranoia, per il disgusto provato verso una determinata parte del corpo, come il seno per una ragazza.
Un altro desiderio appartenente alla maggior parte di adolescenti è quella di voler far parte di un gruppo, vissuto come una condizione necessaria alla crescita. Andreoli ritiene fondamentale la presenza di un gruppo, vista come un ponte fra il distacco e l’indipendenza, e la famiglia, rendendo tale passaggio più agevolato.
Un’altra caratterizzazione, alquanto generalizzata a mio parere, è quella con cui l’autore percepisce l’adolescente come un soggetto che non conosce il tempo, ma ritiene banalmente che il mondo finisca domani. Ritiene inoltre, parere che invece condivido, che senza la dimensione del futuro, tutto si fa drammatico perché finisce il tempo ed è come se non si percepisse nulla oltre quell’attimo.
Un’altra questione da lui riportata è la lontananza astratta tra un giovane e la morte, intesa come una mancanza di conoscenza che l’adolescente ha di tale circostanza. Secondo Andreoli, invece, la morte serve a dare un senso anche alla vita e che non sia possibile vivere, senza considerare la morte.
La morte, inoltre, viene anche utilizzata e strumentalizzata, per far nascere un eroe, famoso modello greco classico, cambiando l’immagine di una persona. L’autore afferma di non aver simpatia per gli eroi, visti semplicemente come persone che hanno guardato solo al presente e hanno sacrificato la loro vita per una causa.
Riguardo questa affermazione devo dissentire, anche io ritengo insensato e banale diventare un “eroe del sabato sera”, come li chiama Andreoli, visto che muoiono per provare la sensazione dello “sballo” e della mancanza di preoccupazioni, e non per una causa o per dei valori, al contrario però di alcuni eroi di guerra, che meritano di essere ricordati per la perseveranza nel far valere i proprio valori e quelli della propria patria.
L’ultimo bisogno che analizza l’autore è quello del bisogno di farsi domande esistenziali, la cui importanza non è tanto trovare le risposte, visto l’impossibilità, ma porsele, soprattutto in determinati fasi della nostra vita, come l’adolescenza. Tale bisogno è rappresentato dal sacro, visto come categoria della mente, differenziato perciò dalla religione. Bisogna però aver chiaro che la religione può essere una risposta al sacro, visto come la percezione del mondo, non riducibile alla comprensione logica.
L’autore infine conclude la lettera ricordandoci l’importanza dell’amore eterno dei padri e delle madri, consigliandoci di ricercare sempre il dialogo, di criticare i comportamenti e le ingiustizie dei nostri padri, di difendere i nostri diritti, compreso quello del rischio e dell’errore, ma amandoli sempre con tutti noi stessi: ci hanno generato, un evento stupendo, perché ci siamo, e ciò ci ha dato la possibilità non solo di dare un senso alla nostra vita, ma a quella del mondo, arrivando ad essere noi stessi parte della società, invitandoci a cercare la verità, ma anche a essere consapevoli che una verità, per essere tale, non sarà mai definita e che sarà sempre possibile correggerla e definirla, ed è proprio questo, secondo Andreoli, il gusto del comprendere, con la fatica e la ricerca.
Ho scelto di leggere e relazionare questo libro, perché credo che sia fortemente legato alla formazione affettiva e relazionale, studiata in pedagogia, attraverso l’argomento dei processi formativi. Infatti tale libro invita gli adolescenti attraverso il dialogo e la conoscenza a sviluppare la capacità di vivere e interpretare le proprie emozioni, stabilendo relazioni e legami con le persone che ci stanno attorno, sulla base dell’amore, della stima e della fiducia.
Il libro però, personalmente, non mi è piaciuto molto, e non lo consiglierei a giovani, specialmente se sotto i 14 anni, viste alcune banali generalizzazioni e alcuni toni alquanto drammatici usati in determinate circostanze. Sono d’accordo su numerose considerazioni dell’autore, ma non le avrei espresse in tali modalità, usando determinati esempi e determinate figure, a mio parere viste solamente come propotipi.